Pubblicati su anticapitalista.org 12 maggio 2017 di Franco Turigliatto
Il governo che segue è sempre peggiore di quello che l’ha preceduto. Si
può invertire questa legge non scritta del liberismo? Non possiamo
finire nella ridotta della scelta tra Macron e Le Pen, ma neanche in
quella tra Renzi e Grillo, con Salvini a raccoglierne i marci frutti
Le vicende dell’ultimo decennio hanno messo in luce in Italia, ma
anche in Europa, una nuova implacabile legge politica: il governo che
segue è ancora peggiore di quello che l’ha preceduto, sempre più
antioperaio, liberista, guerrafondaio e liberticida. Sono gli imperativi
della concorrenza capitalista e delle politiche liberiste che, da un
governo all’altro, moltiplicano gli attacchi delle classi dominanti alle
condizioni di vita e ai diritti delle classi popolari.
Vale per la Francia e per l’Inghilterra e vale per il nostro paese
che ha subito dopo i disastri di Berlusconi, la mannaia di Monti e
Fornero, le ingiustizie di Letta e poi le prepotenze di Renzi. Chi si
illudeva che dopo la dura sconfitta del 4 dicembre con l’affermazione
nelle urne della difesa dei diritti democratici scritti nella
Costituzione, le cose potessero cambiare, si sbagliava di grosso. Il
governo Gentiloni in pochi mesi ha messo in atto misure che
approfondiscono ancora l’opera del suo predecessore spaziando sui
terreni più diversi: i decreti legislativi della buona scuola hanno
ulteriormente peggiorato la condizione degli insegnanti e la
destrutturazione della scuola pubblica, i regali alle banche sono stati
moltiplicati per dieci, le spese militari sono ulteriormente lievitate e
così il ruolo militare dell’Italia nella congrega imperialista in giro
per il mondo; il decreto Minniti costituisce un vergognoso attacco alla
già terribile condizione dei migranti, trasforma i sindaci in
podestà/sceriffi per cacciare dal “decoro” delle città i poveri più
derelitti quasi che “l’indecorosità” non stia nelle politiche della
borghesia che hanno allargato a dismisura l’area della povertà (nove
milioni di persone nel nostro paese); lo stato si dota di ulteriori
strumenti preventivi e repressivi per stroncare sul nascere le lotte e
le mobilitazioni dei lavoratori. E non bisogna dimenticare il rifiuto di
un serio intervento pubblico per affrontare la crisi dell’Alitalia in
funzione degli interessi dei lavoratori e della collettività e non delle
logiche del mercato.
Gentiloni ha potuto fare tutto questo in silenzio e in tranquillità.
Se Renzi operava attraverso le slides ingannevoli e la propaganda
gridata, la scelta del suo successore, ben correlata con le indicazioni
della borghesia e l’opportuna e discreta copertura mediatica, è quella
di apparire moderato, quasi non fosse operativo, quando invece inanella
una dopo l’altra le peggiori ingiustizie.
L’ultima è naturalmente la legge sul porto d’armi e sulla cosiddetta
legittima difesa, con cui si vuole importare in Italia la barbarie dei
cittadini armati con le drammatiche conseguenze testimoniate dalle
vicende degli Stati Uniti.
Salvini detta l’agenda
Già perché è proprio un personaggio come Salvini e una forza
reazionaria e xenofoba come la Lega che dettano l’agenda politica,
ovverosia i temi su cui il paese viene chiamato a discutere e il
legislatore a legiferare. Naturalmente la resistibile ascesa di Salvini
non è il frutto solo della sua demagogia personale e di un clima sociale
già fortemente deteriorato dalle sconfitte del movimento operaio, ma è
agita attraverso i tanti media che hanno spianato la strada a questo
pericoloso soggetto, che, come altri in epoche passate, ha la funzione
di dividere i lavoratori, demonizzare i più deboli, incitare all’odio
contro di loro, tutti elementi che preludono a un ulteriore
imbarbarimento della società.
Colpisce al cuore che alcuni media e settori borghesi “presunti
progressisti”, ma molto liberisti e aree intellettuali non mettano in
atto alcuna seria iniziativa di contrasto a questa regressione sociale e
culturale che sappiamo bene quali disastri abbia compiuto in passato.
Ma appunto, a monte di tutto, ci sono le politiche complessive della
classe dominante la cui preoccupazione maggiore è quella di impedire una
risposta del movimento dei lavoratori. Colpisce al cuore che di fronte
alle tragedie continue del Mediterraneo, alle morti e ai drammi dei
migranti e dei rom, non ci sia una adeguata reazione di indignazione, di
solidarietà, di umanità e che la voce di chi invece la pratica non
trovi un movimento di massa che la trasformi in una azione sociale e
politica che condizioni il dibattito e le vicende del nostro paese.
Che è successo dopo il 4 dicembre
Una domanda viene spontanea. Perché la dura sconfitta del 4 dicembre
di coloro che volevano chiudere il cerchio liberista con una piena
controriforma istituzionale non ha modificato le dinamiche politiche?
Perché Gentiloni continua indisturbato? Perché Renzi ha potuto ritessere
le sue fila nella discrezione dei media preparando le condizioni per un
suo ritorno al timone del governo. Perché non compare nella discussione
quali saranno i costi (per i lavoratori) della finanziaria che si
varerà a settembre (partirà da una ventina di miliardi, ma saranno molti
di più), per ottemperare alla tagliola del fiscal compact? Perché tutti
discutono di una legge elettorale maggioritaria quando dal referendum è
uscita la richiesta di una rappresentanza proporzionale autentica?
Perché sul piano politico si prepara uno stucchevole scontro all’ultimo
sangue tra Renzi e il movimento 5 Stelle, due prospettive non certo
entusiasmati per i lavoratori. Di Renzi sappiamo bene. Di Di Maio
sappiamo di più dopo le sue recenti esternazioni sul salvataggio dei
migranti. Non abbiamo mai avuto dubbi e tanto meno innamoramenti per il
M5S, la cui natura ambigua ed interclassista era chiara fin dagli inizi,
ma ci troviamo ora di fronte a una dichiarazione di guerra contro i
migranti che produce un danno politico e culturale immenso nel paese
chiarendo come questa forza sia molto attenta a convogliare forze e
pulsioni di destra e xenofobe. Per i migranti la strada della salvezza
sarà ancora più difficile. Per altro la traiettoria delle giunte Raggi e
Appendino a Roma e Torino mostra la scelta del M5S di operare e
amministrare nel quadro del liberismo e col consenso delle classi
dominanti. Il M5S va combattuto a fondo da sinistra.
Il realtà lo schieramento che ha vinto il 4 dicembre non solo era
eterogeneo, ma le forze politiche e sociali della sinistra che lo
componevano non avevano la forza e la volontà di rilanciare in avanti la
battaglia politica. Soprattutto erano del tutto impreparate a
sviluppare un’azione di ricomposizione sociale e di lotta sui luoghi di
lavoro, decisive per capitalizzare la vittoria referendaria. Questa
strada era ed è bloccata dalle scelte delle direzioni sindacali, dal
loro rifiuto di costruire le condizioni di uno scontro complessivo con
il padronato, lasciando le vertenze e le lotte in corso isolate, dalla
subordinazione alle richieste della Confindustria e dalla non volontà di
opporsi al governo Gentiloni, come era già stato con Renzi
Qui sta il nodo irrisolto.
La Corte costituzionale ha potuto far saltare senza colpo ferire il
referendum sull’articolo 18 e la stessa parziale vittoria sui voucher
non ha potuto essere utilizzata realmente.
Difficile farlo quanto si firmano uno dopo l’altro i contratti di
restituzione, quando si accetta la aziendalizzazione del welfare che
altro non è che una regressione profonda e una divisione dei lavoratori,
lasciando ulteriori armi ai padroni.
Parole, parole…
Così la Cgil ripiega sulla propaganda generica; la segretaria Camusso
in una piazza romana chiede il ritorno all’articolo 18, misure contro
la precarietà; spende parole di solidarietà per i migranti e condanna il
razzismo; parla genericamente di pensioni, di sanità, ma tutte queste
parole sono completamente staccate da una reale pratica di lotta, dalla
volontà di riorganizzare la classe lavoratrice. Si chiede ai nemici dei
lavoratori di fare un’altra politica quando invece l’unica scelta utile
per la classe lavoratrice è di organizzare la mobilitazione, attraverso
assemblee nei luoghi di lavoro per rimotivare tutte e tutti, per dar
loro una speranza, per definire una piattaforma all’altezza delle
necessità e per indicare chi sono i nemici e dire: “adesso proviamo a
fare sul serio”.
Tutti parlano della disoccupazione e dei giovani senza futuro, ma
sono in pochi coloro che si battono per una riduzione generalizzata
dell’orario di lavoro a parità di salario e per un intervento pubblico
diffuso ed articolato sul territorio in funzione dei bisogni dei
cittadini, delle comunità locali, dell’ambiente; solo attraverso questi
due obiettivi si possono creare quei posti di lavoro che sembrano essere
svaniti con le ristrutturazioni.
Le forze vere della sinistra possono fare qualcosa
E’ da qui che le forze della sinistra dovrebbero ripartire per rilanciare un’azione politica e sociale.
Siamo consapevoli che di fronte a rapporti di forza deteriorati sui
luoghi di lavoro lavoratrici e lavoratori chiedono un cambiamento
politico dall’alto, disposti a dare una pericolosissima delega a
personaggi che di volta in volta sembrano essere l’alternativa
possibile, affermatisi grazie ai media e alle risorse economiche di cui
dispongono.
Non condividiamo però che la discussione delle forze della sinistra
avvenga tutta dentro il perimetro delle alleanze elettorali e della
scadenza delle elezioni politiche.
Pensiamo che anche per preparare al meglio questa scadenza le
organizzazioni della sinistra, coinvolgendo anche i diversi collettivi e
soggetti di “movimento” sia locali che nazionali, debbano unire le loro
forze militanti e gli strumenti politici organizzativi che hanno a
disposizione per costruire una vasta campagna sui temi sociali,
sull’occupazione, sull’unità dei lavoratori, sull’unità con i migranti,
demistificando le menzogne e le ideologie reazionarie e di incitamento
all’odio di Salvini e del neofascismo.
E devono sostenere le correnti sindacali di classe, per costruire la
ripresa di una lotta più ampia imprimendo un nuovo corso a tutte le
vicende sindacali.
Non è chiedere troppo o l’impossibile. E’ chiedere solo il necessario
in questa fase politica di transizione incerta ed oscura, per costruire
le condizioni del protagonismo dei lavoratori e la credibilità di una
alternativa a sinistra. Non possiamo finire nella ridotta della scelta
tra Macron e Le Pen, ma neanche in quella tra Renzi e Grillo, con
Salvini e i suoi accoliti pronti a raccoglierne i marci frutti.
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