martedì 25 giugno 2019

LA CRISI CHE STA ARRIVANDO




12 giugno 2019, di Henri Wilno
Trad. di Francesco Munafò
La crisi è certa ma non sappiamo quando esploderà. Una delle domande fondamentali che ci si dovrà porre nel caso di un disastro finanziario è di capire se gli Stati saranno in grado di limitarne le conseguenze.
Dei processi di accumulazione portatori di un rallentamento della crescita segnano il movimento dell’economia mondiale tanto nei paesi dell’OCDE (America del Nord ed Europa) quanto in Cina, mentre il Brasile resta nel marasma e l’Argentina si trova in recessione, ecc. Solo alcuni paesi, in un momento di ripresa (come l’India) conservano una crescita per il momento quasi senza nubi (nonostante le diseguaglianze e i danni ambientali). Vi è una evidente sovrapproduzione nel siderurgico e la crescita del mercato automobilistico mondiale sarà quasi nulla nel 2019.
Se i tassi di profitto non registrano delle visibili tendenze a calare, non sembrano però aver ritrovato il livello del 2007. Tuttavia, i salari stagnano (fatta eccezione per quelli delle categorie superiori e di alcuni rami particolari) nelle economie sviluppate, comprese quelle che sfoggiano tassi di disoccupazione bassi come la Germania e gli Stati Uniti – in quest’ultimo paese c’è un problema di apprezzamento della disoccupazione reale: oltre ai lavoratori part-time che si auspicherebbero di lavorare di più, numerosi adulti hanno smesso di cercare un lavoro e sono quindi usciti dalle statistiche, e ciò si traduce in un abbassamento del tasso di partecipazione al mercato del lavoro. I profitti realizzati dalle imprese sono abbondantemente serviti a delle operazioni di fusione, a dei riscatti di azioni e a delle distribuzioni di dividendi, o si usano per investimenti liquidi, mentre l’investimento privato resta limitato. L’investimento pubblico è rallentato dalle politiche di austerità.
Il capitalismo è più che mai finanziarizzato. Gli attivi finanziari continuano effettivamente a crescere dopo lo choc del 2007-2009. La capitalizzazione borsistica mondiale (valore al prezzo di mercato azionario dell’insieme delle azioni in circolazione delle società quotate in borsa) aveva raggiunto un livello record nel 2017.  Essa si è abbassata del 15% nel 2018, e ciò riflette l’inquietudine degli analisti davanti ai livelli dei corsi sconnessi delle performances reali delle imprese così come le incertezze che risultano dal clima internazionale. Bisogna sottolineare che le capitalizzazioni borsistiche più importanti sono i GAFA e non le imprese industriali. La salita dei corsi borsistici è stata portata avanti dai politici delle banche centrali che dal 2009 hanno riversato delle liquidità gratuite o quasi gratuite alle banche. Dal 2015, queste banche centrali hanno tentato timidamente di limitare queste politiche (bassi tassi e allentamento quantitativo, cioè riscatto di titoli), ma potrebbe non durare.
In Europa, la persistenza di un basso livello dei tassi praticati dalla Banca Centrale Europea ha avuto degli effetti contraddittori: da un lato, esse hanno potuto aumentare i loro prestiti, dall’altro, siccome i tassi della Banca Centrale si ripercuotono sulla totalità dei tassi, i margini di interesse realizzati dagli istituti sul credito sono stati ridotti, pesando così sulla loro redditività (da cui una caduta dei corsi delle azioni delle banche). All’inizio, questa situazione non dovrebbe mettere in pericolo la salute delle banche, fatta eccezione per casi particolari, ma verrebbe segnata da un rallentamento dell’attività che vedrebbe una diminuzione dei rimborsi dei prestiti.
D’altronde, l’indebitamento degli Stati e soprattutto delle società non finanziarie (le imprese) è tornato ad alzarsi. L’importo mondiale di obbligazioni emesse dalle società non finanziarie ha raggiunto un livello record: circa 13.000 miliardi di dollari alla fine del 2018; questo rappresenta, secondo l’OCDE, il doppio dei loro importi in termini reali prima della crisi finanziaria del 2008. Sempre secondo l’OCDE vi è una degradazione della qualità delle obbligazioni (titoli di debito) emesse dalle imprese che potrebbe innescare, in caso di svolta economica, un innalzamento della mancanza di rimborsi. La solvabilità dei debitori è effettivamente variabile: un rallentamento economico pronunciato o un rafforzamento brutale delle condizioni finanziarie potrebbe quindi pesare sulla capacità delle società indebitate di assicurare il rimborso del loro debito. Questo è un grave tasto dolente della condizione attuale. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, si assiste dal 2008 a una proliferazione delle “imprese zombies” che non sopravvivono se non indebitandosi e approfittando dei bassi tassi di interesse: la parte delle imprese zombie sarebbe del 6% nei 14 principali paesi sviluppati.
Infine, ciò che viene chiamato “shadow banking”, cioè la finanza non sottomessa alla regolamentazione bancaria (che non significa che si tratti per forza di operazioni illegali) è fortemente progredito, specialmente in Cina. Esso rappresentava, alla fine del 2017, il 14% degli attivi finanziari mondiali. Per coronare il tutto, si assiste a un ritorno, sotto delle forme nuove, degli “attivi strutturati”, che scatenarono la crisi del 2007-2008, cioè degli strumenti che agglomerano i titoli che hanno come controparte delle operazioni di qualità variabile e dunque a forte rischio potenziale per coloro che li acquistano (a causa delle loro rese elevate).
Il mondo intero è ormai sotto il dominio del capitale: non ci sono più territori nuovi la cui apertura rialzerebbe sensibilmente il tasso del profitto medio (ciò non significa che certe industrie non continueranno la loro ricerca dei salari più bassi possibili, sul modello dei produttori tessili che delocalizzano in Etiopia). Oggi, una nuova ondata espansionistica necessiterebbe delle nuove tecnologie che esigono, in funzione delle loro caratteristiche, degli investimenti elevati, in grado di generare degli aumenti di produttività e capaci di creare dei posti di lavoro e degli sbocchi su una scala molto importante. I veicoli elettrici e autonomi non saranno capaci di avviare un processo simile nonostante tutti gli stravolgimenti che provocheranno nella filiera dell’automobile (produttori e assemblatori) e in altri ambiti, con dei vincitori, i gruppi minerari (per i minerali utilizzati per le batterie) e i produttori di elettricità, e dei perdenti, i produttori di petrolio.
Di fronte a questa condizione, un certo numero di analisti tende a sottolineare che se un nuovo crack finanziario si producesse, gli Stati avrebbero meno mezzi per fronteggiarlo che nel 2009: i debiti pubblici sono già alti (e ciò impedirebbe di fare calare i deficit di budget) e i tassi delle banche centrali non potrebbero più abbassarsi se non marginalmente. Questa ipotesi d’impotenza degli Stati (sviluppata da diversi economisti, di cui Nouriel Roubini che annuncia la prossima crisi nel 2020) è discussa: se una crisi mettesse gravemente in pericolo la stabilità economica, si potrebbe pensare, al contrario, che Stati e Banche Centrali non esiterebbero a scindere questi vincoli, a lasciare disperare i più liberali e a imporre a certi operatori finanziari soluzioni totalmente eterodosse e, solo per qualche tempo, spiacevoli. D’altronde la Banca Centrale Europea così come la Riserva Federale Americana sono in uno stato costante di veglia e sono pronti a rinnovare l’abbassamento dei tassi e il riscatto dei titoli. Quanto alla Cina, essa ha annunciato più misure di sostegno dell’economia dall’inizio dell’anno.
Ma un’altra questione si pone: c’è ancora un pilota nell’aereo mondiale per dare un impulso a delle azioni coordinate? L’economista americano Charles Kindleberg ha fornito qualche decennio fa un’analisi interessante delle ragioni per cui la crisi del 1929 è stata così profonda e lunga: per lui, ciò è dovuto alle esitazioni degli Stati Uniti ad assumere il comando dell’economia mondiale nel momento in cui, dopo la Prima Guerra Mondiale, la Gran Bretagna non poté più assumere questo ruolo. Per Kindleberg, l’economia mondiale capitalista ha bisogno di uno stabilizzatore, di uno Stato-cardine. Dopo Kindleberg, altri economisti hanno definito le caratteristiche che dovrebbe avere uno Stato del genere: la capacità di creare delle norme internazionali e di farle rispettare, la volontà di farlo, una predominanza nei campi dell’economia, della tecnologia e in quello militare.
Gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo molto importante dalla Seconda Guerra Mondiale (e ne hanno tratto vantaggio). Oggi, sono innegabilmente in una situazione di relativo regresso, anche se conservano la prima posizione. Trump fa di tutto per difendere lo statuto e gli interessi del capitalismo americano, tanto economici quanto politici e militari. Egli moltiplica le iniziative unilaterali e non esita ad alimentare le divisioni tra alleati e interlocutori degli Stati Uniti, e si deduce per esempio dalle sue molteplici dichiarazioni in favore di una “Brexit” dura. Soprattutto, gli Stati Uniti si devono confrontare con la Cina, che è una potenza in crescita: il loro obiettivo è di limitare il deficit commerciale americano, di frenare lo spostamento delle tecnologie verso la Cina, di ottenere la fine delle sovvenzioni alle imprese di Stato così come un accordo sulle valute, di continuare a manifestare la loro potenza militare nella zona Asia-Pacifico. E in questo contesto, gli Stati Uniti relativizzano completamente il ruolo delle istituzioni internazionali, ivi comprese quelle dove solo i grandi Stati sono rappresentati (G7 e G20). Gli Americani conservano il potere di definire certe regole attraverso, come è noto, il ruolo del dollaro, che ha permesso loro di imporre una rottura delle relazioni con l’Iran, comprese alle imprese di Stato che pensano che l’accordo nucleare non è stato violato. Ciononostante, gli USA non riescono a reagire al progetto cinese della nuova “via della seta” e non è sicuro che riusciranno nella loro offensiva per bloccare l’espansione mondiale di Huawei.
Non è sicuro dunque che, in caso di nuovi stravolgimenti finanziari, gli Stati Uniti abbiano la possibilità e la volontà di raccogliere sotto la loro egida gli altri Stati capitalisti, o addirittura anche che gli USA non ostacolino i tentativi di cooperazione per colmare le falle… Questo potrebbe essere (come lo fu nel 1929, e senza voler assimilare le due condizioni) un fattore importante di aggravamento della crisi.

domenica 23 giugno 2019

MAGNA E IL SUICIDIO PERFETTO DELLA FIOM

Pubblicati  21 giugno 2019 Dai territori, Livorno,


di Sinistra Anticapitalista Livorno
La Magna Closures, con sede a Guasticce, è uno stabilimento di componentistica auto da oltre 500 dipendenti, in prevalenza donne ma da ieri è diventata anche una scena del crimine, l’ennesimo ai danni di lavoratori già in regime di contratto di solidarietà a causa del calo della produzione: omicidio-suicidio per l’esattezza…uccisione dei diritti dei lavoratori e  suicidio  della FIOM, FILMe UILM
Ma veniamo ai fatti. In data 18 giugno la dirigenza Magna convoca le Rsu per comunicare che la casa madre starebbe acquisendo una nuova commessa, che porterebbe a 60 nuove assunzioni ed il ritorno per i dipendenti all’orario normale in cambio di un accordo sindacale che preveda un diverso regime salariale per i nuovi assunti: della serie o firmate quest’accordo capestro o niente commessa, paventando l’ipotesi, che in mancanza dell’accettazione, la casa madre decida di dirottarla in Germania o in Polonia e quindi sbandierando una possibile chiusura dello stabilimento di Guasticce.

giovedì 30 maggio 2019

La spinta a destra della Fortezza Europa e la crisi della sinistra


Pubblicati su 29 maggio 2019 in Politica, Slider


Le elezioni europee hanno segnato un passaggio importante nel panorama politico continentale, fotografando lo stato dei rapporti di forza e dando alcune indicazioni politiche.

I risultati in Europa e in Italia sono complessivamente assai negativi confermando il rafforzamento, in qualche caso assai consistente, delle forze politiche delle destre e dell’estrema destra, espressione della disgregazione e della demoralizzazione sociale presente in larghi settori popolari, la crisi in molti paesi anche fondamentali come Germania e Francia della socialdemocrazia e le difficoltà estreme delle forze delle sinistre di classe di riuscire ad affermare le proprie proposte e il loro ruolo nella fase attuale; sullo sfondo minaccioso le nubi delle contraddizioni e della crisi del sistema capitalista e la mancanza ormai consolidata di un ruolo attivo sociale e tanto più politico delle forze delle classi lavoratrici, assai divise e prive di un progetto alternativo. Il lavoro di ricostruzione di una progetto anticapitalista e internazionalista a partire dalle resistenze alle destre, ai fascisti e al liberismo capitalista sarà inevitabilmente lungo, arduo e complesso, ma ancor più necessario e su cui vale la pena di impegnarsi fino in fondo.

giovedì 23 maggio 2019

Elezioni Europee del 26 maggio


https://anticapitalista.org/
Elezioni Europee del 26 maggio – perché un voto a “La Sinistra” e la mobilitazione sociale necessaria

La campagna elettorale per il Parlamento europeo è stata dominata dal furibondo ed inverecondo scontro tra i due partiti che compongono l’attuale governo, cioè quel M5S e quella Lega che uniti, hanno compiuto le peggiori nefandezze e che, anche in questi giorni, continuano a litigarsi su come continuare a farne altre insieme.
I risultati delle urne non avranno solo un significato nazionale nei singoli paesi; incideranno profondamente sulle dinamiche socio-politiche complessive dell’Europa con pesanti ripercussioni sulle condizioni di vita delle classi lavoratrici.
All’interno delle classi dominanti si confrontano due componenti; da un parte la grande borghesia che ha gestito coi suoi partiti più rappresentativi  (i conservatori e i social-liberisti) le politiche dell’austerità che hanno determinato una polarizzazione sociale estrema, disoccupazione, precarietà  e distruzione dei diritti sociali; dall’altra le forze della destra e dell’estrema destra fascista che hanno tratto alimento dalla degradazione e sociale e che hanno rilanciato ogni sorta di posizioni nazionaliste, xenofobe e razziste, tutte quante declinate all’interno della stessa logica capitalista dell’austerità.
Occorre avere ben chiaro che l’attacco alle conquiste sociali e civili delle classi lavoratrici va di pari e passo con la rimessa in discussione degli stessi assetti democratici. Non può essere sottovalutata la minaccia che grava sui paesi europei con lo sviluppo e l’arrivo al governo delle forze nazionaliste e di estrema destra, spinte dai loro successi ad approfondire sempre più i loro progetti revanscisti, forieri di nuovi conflitti e barbarie, compresa quella che già oggi si manifesta nella strage dei migranti nel Mediterraneo di cui tutti i governi europei sono responsabili. Né queste dinamiche possono essere realmente combattute da quelle forze liberiste e capitaliste che si contrappongono ai nazionalisti in nome di un generico europeismo mentre non hanno nessuna intenzione di mutare le loro politiche economiche di massacro sociale.

mercoledì 15 maggio 2019

Questa volta non c’è equivoco: sto col cardinale

Mi ero sempre preoccupato dell’eccessiva fiducia riposta da molti compagni in un papa certo diverso da gran parte dei predecessori ma pur sempre legato alle ambiguità della “dottrina sociale della Chiesa”: dalla “Rerum novarum” di Leone XIII nel lontano 1891 all’incorporazione di tematiche ambientaliste da parte di Francesco, le belle formulazioni avevano suscitato attenzione e speranze nella sinistra, senza che la Chiesa si schierasse senza ambiguità contro le guerre e la dominazione imperialista. Ogni volta che sentivo crescere le illusioni nella “Laudato si’” e nelle aperture di Francesco ai movimenti, andavo a rileggermi un po’ delle encicliche precedenti, ritrovando a volte le stesse parole contro l’avidità dei ricchi e l’ingiustizia sociale. Ma non dimenticavo che quelle parole non avevano impedito che la Chiesa cattolica appoggiasse fin dall’inizio il fascismo in Italia e in Germania, e sostenesse il colonialismo e le più svariate forme di sfruttamento imperialista neocoloniale nel mondo extraeuropeo fino ai nostri giorni.

lunedì 1 aprile 2019

Tanuro: «Per ridurre il Co2 bisogna eliminare del tutto il capitalismo»
Tanuro:"Per ridurre il Co2 bisogna eliminare del tutto il capitalismo

Tanuro: «Per ridurre il Co2 bisogna eliminare del tutto il capitalismo»



Tanuro: «Noi non difendiamo la natura. Siamo la natura che si difende». Le ragioni di una transizione ecosocialista


di Daniel Tanuro*

Il 15 marzo, a seguito dell’appello di Greta Thunberg, un milione e mezzo di giovani hanno scioperato e manifestato nelle strade di tutto il mondo. Questo è stato un segnale molto forte e significativo per tutti noi. Ma, non dobbiamo ingannarci, il livello di consapevolezza di questo movimento nascente di giovani è molto basso anche se ciò non ci deve scoraggiare, perché il movimento è molto profondo. È un movimento che pone delle questioni esistenziali al quale il sistema capitalista non è in grado di dare delle risposte. Ed è questa contraddizione che renderà il movimento potente. Azzardo l’ipotesi che questo movimento sia proprio il movimento che apre il XXI secolo e che avrà come sovradeterminazione quella della coscienza per un cambiamento climatico. Quindi la lotta ecologista sarà quella che racchiuderà al suo interno tutte le lotte anticapitaliste, di giustizia sociale, la lotta femminista, delle popolazioni indigene, degli agricoltori e dei sindacati. E’ una grande sfida comprendere le reali motivazioni di questo nuovo movimento.

Non dobbiamo affidarci unicamente alla comunicazione ufficiale riportata nei documenti dell’Ipcc. Ad esempio, il riferimento rispetto all’abbassamento di 1.5°C è anche quello che ufficialmente l’Istituto riporta. Ma, lo stesso Ipcc nel portare avanti questa comunicazione di massa si è lasciato influenzare dal realismo capitalista. Infatti, per avere una probabilità del 50% di contenere il riscaldamento globale limitandolo a 1.5° senza utilizzare tecnologie nocive[1], non basta la riduzione delle emissioni del 45% bensì del 58%. Questo significa che, tra il 2000 e il 2030 bisogna fare una riduzione del –58%, prima del 2050 bisogna annullare le emissioni, tra il 2050 e il 2100 mantenere delle missioni negative, che vuol dire che la terra assorbe più CO2 di quella che emette.

martedì 12 febbraio 2019

Pubblicato 11 febbraio 2019 in Slider

Messaggi chiari ed inquietanti dall’Abruzzo


Comunicato della Direzione Nazionale di Sinistra Anticapitalista Le elezioni regionali dell’Abruzzo confermano le dinamiche politiche e sociali che si stanno manifestando [...]


Le elezioni regionali dell’Abruzzo confermano le dinamiche politiche e sociali che si stanno manifestando nel paese dopo le elezioni del 4 marzo e la formazione del governo gialloverde della Lega e del M5S.
In primo luogo occorre sottolineare, cosa che in genere non è stata fatta dai media, che è andato a votare solo il 53,11% degli aventi diritto, con un forte calo rispetto non solo al 75,25% delle scorse elezioni politiche, ma anche al 61,56% delle regionali del 2014. L’astensione resta dunque un dato socio/politico fondamentale della fase attuale.

domenica 6 gennaio 2019


 LA SOLIDARIETÀ NON È REATO! APRIRE I PORTI, ORA! CONTRO IL GOVERNO RAZZISTA E REAZIONARIO PER L’UNITÀ DEGLI SFRUTTATI E DEGLI OPPRESSI CONTRO I VERI NEMICI, QUELLI CHE STANNO IN ALTO!
di Sinistra Anticapitalista 
Alcuni sindaci di importanti città italiane hanno dichiarato meritatamente di voler disobbedire al cosiddetto DL Sicurezza, una legge ingiusta, violenta, lesiva dei diritti umani, una legge contro i migranti e i più derelitti, ma anche una legge per reprimere le lotte sociali.
Chissà perché Mattarella non ha rimandato alle Camere per un nuovo giudizio questa legge palesemente anticostituzionale, come l’art. 74 della Costituzione gli permetteva di fare? Che la sua priorità fosse l’accordo tra Roma e Bruxelles?
Le reazioni di Salvini e del suo sodale di governo Di Maio alla decisione dei sindaci sono state scomposte e violente a conferma della natura razzista, xenofoba e antidemocratica del governo gialloverde, che in tutti questi mesi ha seminato il veleno della disumanità e considera la solidarietà un reato da reprimere. I due pessimi personaggi cercano di contrapporre ancora una volta i lavoratori italiani a quelli migranti e di far passare l’idea che accogliere gli immigrati e le immigrate impedirebbe di promuovere i diritti sociali.
Costoro che hanno varato una finanziaria che continua le politiche dell’austerità come i governi precedenti, vogliono dividere gli sfruttati e gli oppressi, a tutto vantaggio dei ricchi, dei padroni, dei capitalisti.
In realtà le risorse per costruire una società giusta e solidale per tutte e tutti ci sono; basta prendere i soldi dove ci sono: dalle tasche dei milionari, delle grandi e medie aziende, delle multinazionali, delle banche e delle assicurazioni, non come si sta facendo da quelle delle classi lavoratrici e dei pensionati.
Come? 
Imponendo una patrimoniale, rendendo il sistema fiscale fortemente progressivo; imponendo un salario minimo valido per tutte e tutti, italiani e immigrati, ripristinando l’Articolo 18 contro i licenziamenti senza giustificato motivo; introducendo un vero salario sociale per studenti e disoccupati; nazionalizzando le imprese che licenziano e inquinano e quelle a carattere strategico; riducendo drasticamente l’orario di lavoro con aumenti salariali generalizzati e redistribuendo il lavoro così creato ai disoccupati e alle disoccupate, promuovendo così un’automazione che liberi davvero dalla fatica e davvero restituisca tempo liberato a milioni di persone, senza però trasformarsi in disoccupazione.
Per fare tutto questo occorre rompere i vincoli dei Trattati dell’Unione Europea capitalista e lottare affinché questi obiettivi siano patrimonio di lotta di tutte le lavoratrici e i lavoratori del nostro paese e dei paesi europei. Cioè esattamente tutto ciò a cui questo governo, così come le cosiddette opposizioni liberiste, sono radicalmente CONTRO!
I nostri nemici vogliono vederci soli e divisi, in lotta gli uni e le une contro gli altri e le altre.
Noi invece vogliamo unire tutti le/gli sfruttate/i e le/gli oppresse/i,favorendone e sostenendo in ogni modo le lotte per le loro condizioni di lavoro e di vita, contro i loro veri nemici, capitalisti e governi.
Per questo lottiamo contro il razzismo, contro la disumanità dilagante,
per la democrazia e la solidarietà, per la giustizia sociale!